“Share Happiness”, a passeggio con una videomaker

A passeggio per il campo con una videomaker

di Olga Ambrosanio, 7 agosto  2015

Venite con noi… 

E’ una esperienza diversa girare a Burj al Shemali con una video maker professionale, Domitilla, la volontaria che regalerà ad ULAIA il primo video girato nel campo. Cominciamo dalla parte est. ll campo non è uguale dappertutto.

La strada principale è quella più ordinata, più pulita e con negozietti meno poveri, ma se non ci si addentra  non si coglie l’essenza del campo, oserei dire che non si sente la Palestina!

Nelle viuzze interne l’atmosfera cambia e  si incontrano diversi ottantenni e novantenni che agli acciacchi dell’età sommano una vita difficile e disagiata intrisa dai ricordi che si fanno ancora più vividi con l’età che avanza. E quando l’uomo quasi sordo ed immobile sul letto accetta la nostra presenza e comincia a parlare, non lascia al nostro accompagnatore nemmeno il tempo di tradurre. Gli occhi diventano sempre più brillanti alla luce dei ricordi che riaffiorano, quasi sembra che riveda la sua Palestina e la sua  vita di un tempo: era agricoltore. Elenca tutti gli ortaggi che coltivava  e ride quando pensa ai suoi cocomeri . “Erano enormi”, e continua a ridere facendo con le mani il gesto delle dimensioni di quei cocomeri , forse ingigantiti dai suoi ricordi.  E poi ci parla del lago, della zona di Safat – da dove anche lui proviene  come tanti qui – e del fiume … là dove lui pescava.  Ci racconta, con occhi sornioni , la sua tecnica della pesca. Allungava nell’acqua il lembo del lungo abito tradizionale  palestinese  che indossava,  e  quando dopo un po’ lo riportava verso l’addome i pesci rimanevano dentro.  A pensarci bene, segno di pescosità elevata e di natura incontaminata …  Eh! La Palestina!

In lontananza scorgiamo la figura di un altro uomo anziano che, seduto a terra con la schiena appoggiata al muro sembra reggersi in quella posizione ad angolo retto grazie al suo bastone puntato sulla parete opposta; lo sguardo fisso su quella parete, immobile. Non ci avviciniamo per rispetto, sembra cieco, ma quando ci allontaniamo ci saluta, forse ci ringrazia di non averlo disturbato.

E le donne! Che emozione emana il viso di quelle donne pieno di rughe e di linee colorate, indelebili segni che le antiche tribù dipingevano sul loro volto  …    Il portamento ancora regale di alcune di loro lascia intuire il loro status in Palestina e i loro racconti lo sottolineano. La Nakba ha livellato questo popolo con la sofferenza, e adesso il presente dei benestanti di allora è fatto della stessa precarietà di tutti gli altri, la loro casa della stessa umidità, la loro vita ha lo stesso sapore, quello dell’esilio.

Attraversiamo una zona veramente di povere case, dove lo zinco padroneggia sulle teste di chi ci abita e talvolta funge anche da parete divisoria. Filmiamo l’esterno di una casa vergognandoci già per questo che ci sembra una violenza, ma, senza smentire la proverbiale ospitalità degli arabi, in men che non si dica ci ritroviamo all’interno,  seduti sul pavimento a bere un caffè con la famiglia che ci abita: profughi siriani. Padre, madre e cinque figli, di cui l’ultimo  troppo piccolo per essere nato in Siria. Infatti ce lo confermano: è nato a Burj al Shemali. Tante donne hanno partorito qui, tante hanno concepito qui. Provengono da un villaggio vicino Homs. Lui  comprava e vendeva pecore e non ne aveva mai meno di 50-60 da accudire. Erano soliti fare anche il formaggio e certamente non se la passavano male nella casa di quattro stanze di una palazzina ad un piano, particolare che dall’enfasi con cui mi viene descritto sembra essere stato un indice di benessere.  In Libano per tirare avanti la famiglia e pagare i 100 dollari al mese per il tugurio nel quale si trovano lui fa il giardiniere. I figli vanno nella scuola dell’UNHCR, l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, fuori dal campo, sulla strada  di El Buss. Turno pomeridiano per i siriani siriani. La ripetizione non è un refuso ma il modo in cui qui si distinguono i primi dai palestinesi siriani, una divisione non da poco, vista la disparità di trattamento e di assistenza che ricevono gli uni e gli altri. Per questi ultimi, infatti, il governo libanese ha introdotto il visto di ingresso anche se sono profughi che scappano dallo stesso teatro di guerra  e l’UNRWA ad agosto cesserà il sostegno alle famiglie in fuga ed applicherà le stesse drastiche riduzioni all’assistenza sanitaria ed all’istruzione che sono previste per tutti i palestinesi anche di Gaza e della Cisgiordania.

Il nostro percorso termina davanti ad un negozio di pesce dove campeggia la bandiera italiana. Il padrone non c’è. Mi sforzo di trovare un motivo di questa scelta, ma ce ne potrebbero essere tanti: la presenza di un figlio in Italia, l’aspirazione di ricevere il visto per visitare un giorno il nostro Paese, o semplicemente il tifo per la nostra nazionale di calcio che nel 1982 regalò la coppa del mondo alla Palestina, un gesto che qui non hanno mai dimenticato.

Ma il racconto della nostra passeggiata non sarebbe completo se non vi dicessi che c’è una cosa che accomuna ogni settore del campo: è il sorriso dei bambini. Maschi , femmine, piccoli e meno piccoli, sporchi o puliti, tranquilli o scalmanati, il loro sorriso è una costante in tutto il campo, e lo vedete nel video.

Share Happiness, di Domitilla Pattumelli, videomaker professionista

Testo: Dima Bakkar, Alice Khachan, Lina Khachan

Voce: Firas Ismail

Supporto: Mustapha Dakloul

Musiche: Matteo Cona

 

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