La famiglia di Rasha in fuga dalla Siria.

Disorientamento, agosto 2013 di Olga Ambrosanio

E’ questo il termine più appropriato per trasmettere le sensazioni interiori di questa mia ennesima permanenza a Burj al Shemali. Questa volta non mi sento solo l’Associazione che rappresento e che guido verso la conoscenza dei palestinesi in Libano. Questa volta qualcosa è diverso.

E non sono solo gli eventi che si susseguono in questo paese (le autobombe a Beirut del 9 luglio e del 15 agosto) o nei paesi vicini (Siria ed Egitto) a disorientarmi, ma la quotidianità che condivido con i “nuovi venuti”, quella fetta di popolazione in fuga dal teatro di guerra siriano.

E nemmeno sono le statistiche che ricevo da Assomoud a turbarmi o l’affollamento nelle sistemazioni provvisorie talvolta senza bagni ed acqua corrente o la povertà di alcuni, ma il toccare con mano quanto la guerra abbia devastato di nuovo anche quei palestinesi che in Siria avevano trovato il loro equilibrio tra la vita sociale, affettiva e lavorativa.

E’ risaputo che lì i Palestinesi hanno gli stessi diritti dei siriani (tranne i diritti politici), ma non immaginavo la vita “normale” che scorreva a Yarmuk. Il campo mi viene descritto come un’area residenziale in cui non mancava nulla, dagli ospedali, alle scuole, agli Internet caffè. “Yarmuk aveva viali alberati, negozi con tutte le attività commerciali frequentate normalmente anche da siriani, scuole, ospedali, spazi giochi per bambini  e case degne di questo nome…” dicono i miei interlocutori. Tutti concludono dicendo di non comprendere come facciano a vivere in Libano i Palestinesi arrivati qui da 60 anni!

In molti si sta facendo strada la sensazione che per loro sarà una seconda Nakba.

Lo scoppio di una bomba vicino casa li ha spinti a mettersi in salvo con la famiglia qui in Libano pensando di tornare dopo una settimana, dieci giorni… Sono qui da oltre 1 anno!

L’occupazione della loro casa da parte degli oppositori di Assad li ha costretti ad andar via senza poter prendere nulla… Ora quelle case a Yarmuk sono solo macerie!

E intanto anche chi aveva soldi comincia ad accrescere le fila dei poveri e dei disperati.

Tutti hanno un fardello pesante: chi ha parenti in prigione solo perché è capitato in un posto sbagliato in un momento sbagliato, chi è accecato dallo scoppio ravvicinato di una bomba, chi non riesce a ricongiungersi con la moglie ed i bambini ora che anche il Libano ha chiuso le frontiere ai  Palestinesi, chi si è avventurato di nuovo in Siria per passare in Egitto ed ha trovato una situazione ancora peggiore.

E mentre mi raccontano le loro storie un bellissimo bimbo, in segno di affetto (?!?) mi porta le mani alla gola e quasi mi soffoca, un altro pronuncia parole incomprensibili in una lingua che si è creato da solo, mentre un’altra mi corre incontro, solo perché mi riconosce occidentale, e inciampa nei suoi infradito, troppo grandi, tra la polvere di un campo che è precipitato ancora più in giù del peggiore dei gironi danteschi.

Per la sopravvivenza gli aiuti arrivano da alcune organizzazioni sotto forma di coupons, di vestiario, di pacchi di alimenti, di medicine, ma alla salute mentale, come spesso accade,  sono in pochi a pensarci. Il personale qualificato dell’ONG Beit Atfal Assumoud sta collassando per trattare il maggior numero di casi, la direzione non ha abbastanza risorse per assumere altri operatori, e come sempre, purtroppo la psiche non è una ….prima necessità.

Stando qui ti rendi conto di quanto sia importante per queste persone l’ascolto. Hanno bisogno di condividere il proprio pesante fardello per alleggerirlo; non importa se li capisci, parlano animatamente… raccontano… anche se puoi restituirgli solo un sorriso o una smorfia, a seconda del caso, perché non sei padrona della lingua.

In questo panorama potenziare Assomoud significa anche ampliare i programmi di aiuto qualificato di cui hanno bisogno i bambini e gli adulti che stanno attraversando questa tragedia affinché recuperino la stabilità mentale nella speranza che riescano a trovare una giustificazione a ciò che gli è accaduto.

Intanto, nell’attesa, talvolta ci capita di giocare a carte con una famiglia disastrata.

Il “Machiavelli” che gli abbiamo insegnato è un vero rompicapo, ma si è rivelato ottimo per distogliere la loro mente ininterrottamente occupata da problemi per ora irrisolvibili.

Ecco, mi chiamano, un altro giro…un altro giorno è passato!

Olga

Tyr, 21 agosto 2013

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